Amato: Il Prof. Piazza, docente di Architettura, interviene sulla pavimentazione del Centro Storico
- Provincia, Madonie, Collesano,
- Cultura, Attualità,
- Redazione
La pavimentazione di Piazza Castello - spiega l'Assessore alla Cultura Fausto M. Amato - nelle settimane scorse, è stata oggetto di una polemica, dai toni accesi, tra Marco Failla e il Sindaco di Collesano, Giovanni Battista Meli. Oggetto del contendere, l'uso del cotto per pavimentare la piazza, criticato da Failla e difeso dal Sindaco. Il dibattito, pur se fondato su argomentazioni di carattere culturale, non è apparso costruttivo: opinioni diverse, probabilmente finalità diverse nella prospettiva di utilizzo dei materiali, rispetto alle quali non pare che si possano costruire barricate, né tanto meno fondare giudizi epocali.
Il testo della lettera inviata dal prof. arch. Stefano Piazza al Sindaco di Collesano Meli
Caro Giovanni,
su tua sollecitazione, ho letto la corrispondenza intercorsa tra te e il dott. Failla, e ti espongo pertanto, la mia opinione, prendendo spunto soprattutto dall’ultima lettera divisa in punti del tuo interlocutore, del quale sono costretto a trascurare il tono irritante e offensivo che, se preso in considerazione, non indurrebbe a nessuna risposta. Gli insulti e il tentativo di denigrare chi ha opinioni diverse forse sono in minima parte spiegabili dalla passione e dalla giovane età di chi, evidentemente, ha preso come modello la maleducazione tipica di recenti modelli comportamentali televisivi (mi viene in mente un noto storico dell’arte, principe degli insulti) ma risultano del tutto intollerabili nell’ambito di un confronto dialettico pubblico. Chi insulta, in genere, ha poche argomentazioni, ma non mi sembra il caso del dott. Failla e quindi il suo atteggiamento risulta, ai miei occhi, del tutto ingiustificato.
Ciò premesso mi permetto di replicare, sintetizzando i diversi punti della lettera di Failla in alcuni temi centrali, sperando per questo di non venire travolto dagli improperi:
-La questione filologica e il rispetto della tradizione (punti 1 e2). Mi sembra che ci sia concordia nel considerare le tracce delle pavimentazioni preesistenti risalenti al massimo alla seconda metà dell’Ottocento, se non, aggiungo, ai primi del Novecento. La radicata tradizione a cui fa riferimento il dott. Failla è quindi quella venutasi a creare in quel periodo? O si posseggono
fonti iconografiche e documentali dei periodi precedenti? I decenni a cavallo tra XIX e XX secolo sono in ogni caso ben lontani da quel Medioevo evocato da Failla (XII-XV secolo) che ha giudicato addirittura troppo moderna la stessa pietra calcarea di Billiemi (si veda la prima lettera) utilizzata “solo” a partire dal XVI secolo, quindi da appena 500 anni.
In sintesi mi sembra di capire che, dal punto di vista storico, la prima prova documentale di questa tanto conclamata “radicata tradizione di Collesano” è identificabile in una traccia di un acciottolato in pietra arenaria di datazione incerta. Sono certo, e il dott. Failla concorderà, che l’acciottolato veniva anche usato in precedenza in altri centri urbani e soprattutto nei cortili
interni, ma quando giunse nelle strade di Collesano non possiamo saperlo. In ogni caso una pavimentazione in ciottoli di fiume non risulta di certo proponibile, quindi dovremmo rivolgerci alla pavimentazione in basole di arenaria e, in questo caso, a quando risalgono le prime costosissime pavimentazioni in basole nelle strade di Collesano (pensiamo a via Roma e corso
Vittorio Emanuele)? Per le basole sono certo che dovremmo spostare la lancetta della “radicata tradizione” più avanti di qualche decennio. Ma possiamo ancora parlare di radicata e inderogabile tradizione? Io personalmente sarei più cauto e forse preferirei parlare di consuetudini relativamente recenti ma, evidentemente mi sfugge qualcosa.
-Il problema del reperimento del materiale (punto 8).
Tema di certo centrale, visto che ogni cultura costruttiva si base sempre sulla facilità di reperimento di un determinato materiale in un determinato luogo. Al momento in cui il materiale si esaurisce le tecniche costruttive devono necessariamente cambiare.
Mi sembra di capire che, come sostiene lo stesso dott. Failla, non esistono “cave di pietra arenaria sfruttabili nel territorio di Collesano”, mentre esistono ancora le cave di argilla che possono essere rese fruibili. Il cotto quindi, oggi, potrebbe benissimo essere considerato un materiale del DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA DARCH luogo mentre la pietra arenaria non più. Nello stesso punto si critica l’uso di cotto siciliano che non utilizza però le cave di Collesano a favore di una pietra arenaria disponibile in commercio
che, ugualmente, non sfrutta materiali reperibili nel territorio collesanese? Perché la prima scelta è condannabile e la seconda no?
-Il diritto alla “modernità” di ogni generazione (Punti 3, 6 e 7) (non entro nel merito del punto 4, basato su argomenti sterili, del 5 incentrato su questioni che non mi competono, e del 9 perché riassuntivo, anche nei toni offensivi).
In questo caso le argomentazioni del dott. Failla sono veramente deboli e, sotto certi aspetti, ingenue. Evidentemente il tono polemico non ha consentito risposte ponderate all’altezza della sua preparazione. Si sostiene che la straordinaria varietà delle nostre testimonianze storiche non sia dovuta alla costante tensione verso il moderno ma solo all’avvicendarsi delle dominazioni.
Eppure è ovvio che se ogni dominazione fosse stata rispettosa di quella precedente vestiremmo ancora alla greca. Il dott. Failla sa bene (ma lo nega inspiegabilmente) che l’avvicendamento di culture diverse (vengono chiamati in causa Greci, Romani, Bizantini, Musulmani, Normanni, Angioini, Spagnoli ecc.) portò fortissime tensioni innovative, a scapito delle civiltà precedenti.
I Normanni distrussero tutte le moschee e costruirono chiese “modernissime” per quei tempi.
L’avvento del Regno d’Aragona comportò un rinnovamento velocissimo del lessico architettonico rispetto alle esperienze siciliane del Trecento. E quante chiese normanne sopravvivono oggi? forse il 10%, considerando le distruzioni che subirono nel periodo della
Controriforma perché ritenute “buie et oscure”. Il Teatro Massimo di Palermo fu realizzato demolendo un intero quartiere comprendente il complesso di San Giuliano e quello delle Stimmate. Si potrebbe continuare all’infinito. Il nostro patrimonio storico nasce quindi dalla sopravvivenza delle testimonianze passate rispetto al succedersi delle modernità e questo è un
dato oggettivo non discutibile.
Ribadisco pertanto un concetto che mi è molto caro: ogni generazione ha il diritto di lasciare la propria traccia senza necessariamente imitare opere passate. La grande lezione della storia è proprio l'aspirazione verso il "moderno" perseguita da ogni civiltà (è quello che insegno ai miei studenti), grazie alla quale oggi godiamo della straordinaria varietà della nostra memoria storica.
La fedeltà filologica (che nel caso specifico è a dir poco sfuggente) non necessariamente è la strada corretta e, soprattutto, è di certo la via più mortificante per la cultura contemporanea. Tutto cambia e tutto è cambiato rispetto al passato e quindi anche la scelta dei materiali può variare.
Certo, è corretta l'idea di scegliere materiali comunque riferibili ai luoghi e di legarli soprattutto a progetti ponderati (non sarebbe concepibile una pavimentazione in cubetti di porfido o in travertino), ma in questo caso ritorniamo a quanto espresso nei punti precedenti.
Il dott. Failla riconosce la secolare tradizione del cotto di Collesano riferita, come scrive, ai suppellettili, alle pavimentazioni di case, chiese, palazzi, ai rivestimenti di guglie di campanili e a cave ancora sfruttabili ma, allo stesso tempo, non ne concepisce un’ulteriore espansione nell’ambito delle pavimentazioni stradali. Per quale motivo? Chi ha deciso che le capacità tecniche radicate in un territorio, supportate dalla reperibilità del materiale, non possano svilupparsi ulteriormente? Personalmente non condivido e ritengo soffocante il radicalismo tradizionalista - impersonato, forse suo malgrado, dal dott. Failla - che urla allo scandalo anche se si impiega il troppo “moderno” Billiemi in uso nella provincia di Palermo da 500 anni. Non sopporto i lampioni “finto Liberty” installati qualche decennio fa in via Libertà a Palermo, che dimostrano solo una terribile impasse culturale del nostro tempo e una sfiducia assoluta verso la
modernità. Dei nostri nonni si dirà “inventarono il Liberty” e di noi invece si dirà “imitarono il Liberty dei loro nonni”. Quello che temo di più sono i centri storici imbalsamati dove nulla di nuovo si possa fare se non imitare il passato. Tutto quello che oggi viene realizzato o è nuovo o è semplicemente un falso storico, e chi ama la storia odia il “finto antico”(si veda la lettera di Failla
al punto 6). È più “finto antico” un pavimento del XXI secolo che tenta di imitare una pavimentazione dell’Ottocento o un prodotto nuovo?
La vera domanda da porsi è se gli interventi sono qualificanti o degradanti. La piazza Castello, rispetto allo stato preesistente, migliorerà o peggiorerà? Forse più che porci il problema di come avrebbero fatto i nostri antenati ci dovremmo porre il problema di cosa vogliamo fare noi, di come proiettarci nel futuro, di come migliorare la nostra esistenza e le nostre città, di che traccia
tangibile lasciare. Solo così la nostra civiltà sarà in grado di progredire e di sedere accanto ai nostri illustri predecessori.
L’uso del cotto nei piani stradali di Collesano può essere una scelta non condivisibile, ma è di certo legato a un progetto ponderato e più ampio, è orientato verso la qualificazione di spazi degradati e, soprattutto, è sostenuto da una proiezione verso un possibile futuro migliore. le doti intellettuali del dott. Failla, che hanno comunque il merito di avere sollevato un dibattito (dai toni comunque troppo accesi), e che costituiscono di certo una risorsa per Collesano e per la comunità siciliana nel suo complesso, andrebbero forse orientate in modo più proficuo.
Resto ovviamente a Vostra disposizione (tua e del dott. Failla) per ogni ulteriore confronto dialettico.
Prof. Arch. Stefano Piazza
Docente di “Storia dell’architettura e della città” e di “Storia dell’architettura e delle tecniche costruttive” nei corsi di Laurea magistrale in Architettura e in Ingegneria edile e Architettura della Scuola Politecnica dell’Università di Palermo.